Barbara Polettini
L'Erranza: perduti passaggi, antichi sentieri
Mi è sempre stato caro il tema dell’Altro Mondo, luogo parallelo dove il Tempo scorre in modo diverso, al punto che chi vi giunge, al suo ritorno non sarà più riconosciuto e non sarà in grado di riconoscere la gente e le cose della propria terra d’origine. Tema diffuso in molta letteratura di ogni epoca e regione, mi appassiona al punto che l’ho assunto come filo conduttore dell’ultimo libro che ho scritto, La Herbaria.
La protagonista, Rosa, è una giovane donna che a un certo punto della sua esistenza, in un momento di grave pericolo dovuto a vicende personali, fuggendo nei boschi varca la soglia di Valena, una sorta di terra di mezzo che fa riferimento ad una reale zona della Lessinia, in Veneto, terra in cui ho ambientato il romanzo. Qui, Rosa trascorrerà senza rendersene conto tre anni, durante i quali si dimenticherà com’era il mondo da cui proviene e il male ad esso legato, apprendendo invece i linguaggi della natura e del cuore.
“Con il passare del tempo, Rosa dimenticò perchè era arrivata là. Dimenticò dettagli, nomi, situazioni. Scordò a poco a poco il dolore per l’affronto fattole da suo cugino, il tradimento di sua madre e delle sue sorelle e il linciaggio che l’intero paese aveva ordito e scatenato contro di lei e che si era ripercosso su Malvina. Anche di Malvina si dimenticò, scordò anche il suo nome. Nulla di tutto quel che le era successo aveva più rilievo, apparendo vuoto e banale nella sua assurda caoticità, di fronte all’armonia che percepiva laggiù dove tutto era calmo. Nel bosco c’era sempre una nebbia tenue. Una foschia leggera, un velo sottile e impalpabile, un profumo denso attraverso cui il tempo e il dolore non riuscivano a filtrare e scorrere ed ogni emozione era attutita.
Quello strano velo sulle cose era talmente denso che Rosa aveva imparato a riconoscere gli altri esseri dall’odore e dal tatto, più che dalla vista.” (1)
Oblio e erranza. Il pellegrino che si recava a Glastonbury, se per sbaglio spostava solo leggermente il passo su un sentiero parallelo, dopo qualche momento trascorso nella nebbia usciva posando i piedi sulla terra di Avalon, la terra dell’Estate dove la bella stagione è sovrana e quando ne faceva ritorno, se ciò accadeva, non mostrava i segni dell’età invece ben visibili sui volti dei suoi coetanei. Similmente accadde a un leggendario monaco che, fermatosi per qualche istante nel bosco ad ascoltare il canto di un usignolo, ne uscì per tornare al convento, non ritrovandone che i ruderi e i suoi compagni ormai tutti morti. Nella favola della bella addormentata nel bosco, per salvarsi da un maleficio che incombe sulla principessa protagonista, l’intera corte è gettata in un sonno lungo un secolo. La traduzione italiana non rende onore al titolo francese della fiaba, che è “La belle au bois dormant”, cioè “La bella nel bosco addormentato”: qui, il tempo addirittura si ferma, permettendo il districarsi della matassa e la soluzione di un problema di mortale gravità. E del resto, nessun bambino potrebbe smettere di crescere nel centro storico di Londra: per essere come Peter Pan, bisogna vivere nell’Isola che non c’è…
Ho trovato una pagina di Wikipedia dove si accenna ad un fenomeno forse attinente: è la “dilatazione temporale gravitazionale” o “dilatazione gravitazionale del tempo”, definita come un “effetto per cui il tempo scorre a differenti velocità in regioni di diverso potenziale gravitazionale; maggiore è il potenziale gravitazionale (più vicino al centro di un oggetto massivo, ad es. vicino ad un buco nero), più lenti vanno gli orologi.” Sempre citando Wikipedia, pare che addirittura Albert Einstein avesse previsto questo effetto nella sua teoria della relatività (2).
Mi piacerebbe avere le competenze per dare una spiegazione scientifica a questo fenomeno e magari anche trovare il sentiero che ti permette di spostarti sull’Altro Mondo a piacere… Ma in mancanza di questo, mi piace anche solo il fatto di darne una lettura simbolica e archetipica.
C’è sempre una barriera: può essere il mare, oppure una foresta, un muro di verde, un passaggio attraverso i rovi e le spine, un velo di nebbia, la più indicata per confondere le idee. E subito dopo ci si accorge che sono cambiati i suoni, la temperatura, i colori e le sensazioni; di fatto, è cambiata la consapevolezza.
“Errare”, oltre che “sbagliare”, significa “perdere la strada”. Forse non il caso, l’errore, ma la capacità di “perdersi” di una persona, la sua peculiare sensibilità contribuiscono a rendere possibile l’attraversare il varco invisibile tra i mondi. Non un difetto, quindi, ma una marcia in più. In un’epoca in cui tutti parlano di comunicazione, sono sensitivi e veggenti e in cui i “portali” per contatti incredibili sorgono improvvisamente ovunque, il passare nell’”Altro Mondo”, o anche solo nel mondo dell’Altro, dovrebbe essere cosa semplice, così come il fatto di entrare in relazione con qualcuno. Invece a ben guardare questo fenomeno comporta, per verificarsi, sempre maggiori difficoltà. Stare sull’”esterno”, sovrastimolati ed estroflessi o proiettati al di fuori, intenti a “mostrarsi” senza tuttavia dire nulla di sè, non garantisce la comunicazione. Che è, prima di tutto, comunicazione di quello che si è “davvero”. L’obiettivo non deve essere tanto entrare in relazione con gli altri promuovendo la superficialità e l’esteriorità, quanto sperimentare la profondità con se stessi. Restare in qualche modo in profondo ascolto di sé, dimenticandosi di tutto il resto in modo da attingere alla radice del proprio essere che, quella sì, non cambia mai. E che solo allora, allora sì, potrebbe emanare da noi e far capire cosa siamo.
Ma che cos’è questa “distrazione” che ci porta sull’altro sentiero? Come funziona? É distrazione dall’esterno e dalle proprie maschere e in realtà, più che una distrazione è uno stato di “coscienza aurorale”, per dirla alla Bachelard, un momento in cui ci lasciamo scivolare nella rêverie dove “la coscienza batte ad una intensità impercettibile, vuoi perché essa ancora indugia prima di sprofondare nel sogno (il rêve, l’inconscio), vuoi perché ne è appena emersa”. Ritorno alle origini, come stato perfetto che ci rende invulnerabili rispetto al mondo esterno (ecco perchè queste esperienze avvengono solitamente nel bosco, così isolato rispetto alle rumorose esperienze urbane), stato “estremamente fragile, evanescente, instabile” che tanto ricorda lo stadio di vita intrauterina, dove gli stimoli esterni giungono ai sensi solo filtrati e ovattati da una generosa, immensa protezione materna. (3) Ripiegarsi su se stessi e fluire nel tempo della coscienza interiore e, grazie a questa prassi, rimanere per sempre giovani. Ecco il senso della terra dell’estate senza fine.
E poi il mito. Persefone e Ade. Perchè ogni volta che un pellegrino finisce nell’Altro Mondo, ci finisce perchè in qualche modo è stato “rapito”, da qualcosa o da qualcuno. Secondo il mito, giunto un certo periodo dell’anno – l’autunno che fa da “confine” stavolta spaziale e non geografico – il dio infero esce da una voragine del terreno e ghermisce la fanciulla, trascinandola con sé nell’Oltretomba. Dal nostro punto di vista, limitatamente umano, Ade è un mostro terribile; ma quando a primavera Persefone ritorna alla terra, non è né più vecchia di un anno né deturpata o rovinata; anzi: il tempo non ha avuto su di lei effetto alcuno e lei è ancora più bella. Com’è possibile che questo avvenga, in balia di un “mostro”? Il fatto è che noi non sappiamo affatto come si svolga la loro vita insieme, in
quel luogo proibito e misterioso in cui lei trascorre parte dell’anno. Noi non sappiamo. Mi è piaciuto spingermi un poco oltre, e immaginare di seguire i passi della protagonista de La Herbaria, Rosa-Persefone, nel territorio proibito di Valena, accanto al suo compagno:
“Il re delle capre era sempre con lei. Ovunque lui andasse, lo seguiva (…) Attraverso i boschi con lui, Rosa apprese il ritmo delle stagioni, delle stelle e della luna; egli le mostrò il punto della montagna dove nasceva il torrente e gli altri luoghi dove si potevano trovare i nidi degli uccelli e le bacche più dolci. Le insegnò quali erbe, radici e cortecce erano commestibili e quali potevano essere utilizzate per curare le ferite e le malattie, e anche quali potevano causare la morte. «Ma quel che devi imparare è sempre qui» le diceva, puntandole il dito al centro del petto. «E’ qui che devi sentire cosa fare.»” (4)
Non a caso Ade/Plutone è il dio della ricchezza profonda. Ci sono miniere d’oro e diamanti, sotto terra, negli Inferi. Sono i diamanti grezzi del nostro spirito. Dall’Altro Mondo si può tornare indietro, certo, e quando questo accade non si trova più quel che si è lasciato: perchè se, e quando, si torna, si torna con noi stessi.
Barbara Coffani
NOTE
1. COFFANI BARBARA, La Herbaria, Verona, 2015
2. cit. da Wikipedia
3. SERTOLI GIUSEPPE, Le immagini e la realtà. Saggio su Gaston Bachelard, La nuova Italia Editrice, Firenze, 1972
4. COFFANI B., La Herbaria.