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Barbara   Polettini

Ecolocalizzazione sentimentale - La disconferma e le ferite di Eco

 

Non si dice Eco, se non si dice anche Narciso. Così, insieme li conosciamo, lui in fuga come un cervo e lei dietro, spasimante/spasimando in caccia, struggendosi e letteralmente consumandosi di desiderio fino a rimanere soltanto voce. Narra la leggenda che la ninfa cadde innamorata del più bel ragazzo che si fosse mai visto, ma innamorata senza speranze di essere ricambiata, vista la durezza di cuore di Narciso, si consumò fino a che di lei non rimase che l'eco della sua voce.

Perchè il fenomeno dell'eco è così dolorosamente struggente?

Perchè l'eco nasce dalla speranza che ci sia qualcuno ma ci testimonia che non c'è nessuno. Indica il vuoto e la solitudine. Indica che in lungo raggio, la nostra voce potrà rimbalzare e non riceverà accoglienza da nulla, non sarà assorbita da nulla. Se tale assorbimento avesse luogo, ci sarebbe un'implicita comunicazione: invece no, solo il nulla. L'eco è un evento dal sapore simile a quello di un tepore climatico estemporaneo e improvviso, che invita una tenera pianta inesperta a germogliare fiduciosa nel sole che, invece, crudelmente scompare, lasciando spazio al gelo e alla desolazione e alla morte certa della piantina.

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Narciso deriva da “narkè”, che significa stupore, assopimento, sonnifero. E avvelenamento. C'è in lui qualcosa di tossico, stupefacente e venefico e inoltre la figura di Narciso è sempre in qualche modo correlata a forme di “rapimento”, non necessariamente estatico, o di un'estasi non necessariamente sana: Narciso è rapito dalla sua stessa immagine e finisce per annegare nello stagno che la riflette; anche Persefone è rapita da Ade nel momento in cui si sofferma a cogliere un narciso e, per finire, Ila è rapito dalle ninfe quando si sofferma presso una fonte a bere, in un atteggiamento che rieccheggia-rievoca quello di Narciso.

Narciso è manifestazione degli effetti del nome che porta: è infatti un essere insensibile, così come rende insensibili un narcotico, un veleno che stordisce arrivando a volte a paralizzare. Contemporaneamente, Narciso provoca effetti narcotici: desta stupore in chi lo vede, dipendenza, come una droga, e piano piano avvelena e consuma fino all'annientamento.

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Eco e Narciso sono metafora di due diffusi errori comunicativi ed affettivi. Narciso è colui che vive contemplando se stesso senza alcuna benché minima forma di condivisione; non può essere altrimenti, la sua insensibilità congenita gli impedisce ogni forma di empatia.

Eco è invece l'emblema della persona senza centratura, talmente proiettata sugli altri da non esistere per se stessa. Lo squilibrio dell'uno genera e ben si amalgama con lo squilibrio dell'altro.

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Eco non divenne pura voce solo per amore: era già predisposta ad essere soprattutto “voce”. Era infatti, fra le Oreadi, la più ciarliera. Tanto da essere scelta, secondo alcune versioni del mito, da Zeus, per intrattenere Era e farle compagnia distraendola mentre Zeus si dilettava nelle sue faccende extraconiugali.

Cosa accade alle persone che parlano molto? Cosa c'è all'origine del loro chiacchierare, cosa lo suscita? Forse, in certi casi il senso di sentirsi vive. Esiste una relazione tra il parlare e l'esistere, basti pensare a Sherazade, viva e sopravvissuta fintantoché narratrice di storie, ma anche alla stessa “Parola di vita” e al “Verbo” che dà vita, o all'azione divina di nominare per creare, presente in molta cosmologia e nella stessa Genesi. Ad un livello più basso, qualcuno può certo convincersi che il fatto di “parlare” significhi e vada a coincidere con l'essere degno di attenzione e, quindi, con l'esistere.

Ebbene, Era dai mille occhi puntualmente scopre l'inganno dello sposo e si vendica sulla ninfa, condannandola non al silenzio ma a poter ripetere solo le ultime sillabe delle parole ascoltate. Una beffa tremenda, giusta punizione se rapportata al fatto che Eco raccontava a Era solo una parte della verità, e non quella di cui Era avrebbe dovuto, giustamente, come da suo ruolo, essere messa al corrente. La condanna di Era è terribile precisa e soprattutto, ontologicamente deleteria, perché colpita a quel modo, la ninfa non riesce più a comunicare con nessuno.

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Inutile dilungarsi sulla patologia narcisistica, perché significherebbe seguire e assecondare ancora Narciso, portando l'attenzione su di lui e togliendola agli "altri". Significherebbe confermare la sua abilità nel calamitare l'attenzione e l'energia in gioco distogliendola dalla relazione, anche se ad onore del vero, il Narciso mitico non trae piacere dal fatto di essere desiderato e voluto, quanto dall'autocontemplazione. Molto più interessante è, invece, l'errore comunicativo fra Narciso ed Eco, ridimensionato nella sua importanza, rispetto alla descrizione della patologia narcisistica. Parlo della disconferma. È questo che fa Narciso: non dà risposte, anzi, ignora completamente. E non lo fa per ricevere attenzioni, la sua non è strategia seduttiva. Lo fa proprio perchè gli altri, per lui, non esistono.

La disconferma è evento estremamente crudele. Pensa a tutte le volte che tu gli hai parlato e non ti ha risposto. A tutte le volte che gli hai scritto; in epoca di posta cartacea era forse più che ragionevole dubitare dell'arrivo a destinazione di una missiva. Forse era arrivata, forse aveva risposto ma non era arrivata la sua... C'erano lunghe distanze da coprire e tempi lunghi, e non era così semplice e immediato comunicare. Era più difficile che si creassero situazioni così palesemente offensive. Ma oggi, con tutto in tempo reale... Non c'è più quella morbida zona d'ombra delle illusioni. È tutto svelato. Si vede, se una persona ha ricevuto un messaggio. Si vede dalla doppia spunta azzurra di Whatsapp, si vede nelle chat, con la scritta “visualizzato alle”. Si vede anche quando il bollino della chat è verde, segno che c'è, e lì, tu invii il messaggio ma niente, non risponde.

Sbavi, muori, scondizoli letteralmente, scrivi ingiurie e minacce a destinatari non meglio precisati, ma niente, nessuna risposta. E tu, diventi Eco.

La disconferma è questo: è una non risposta. Nella comunicazione, quando io invio qualsiasi messaggio, posso ricevere una risposta di assenso o di dissenso, ma in entrambi i casi vengo presa in considerazione dal mio referente e questo mi dà il senso della mia esistenza. Si verifica una sorta di “ecolocalizzazione del mio messaggio”, un po' come avviene per i pipistrelli. Loro si muovono evitando gli ostacoli e individuandoli tramite l'eco delle proprie emissioni sonore. A seconda di come queste tornano loro indietro, i pipistrelli si fanno un'idea di dove arrivare senza sbattere e senza ferirsi: questo significa in buona sostanza che è la forma dell'ambiente esterno che mi restituisce il confine del mio corpo e, di conseguenza, della mia forma. È come se la mia voce e le cose che dico incontrassero un ostacolo metaforico nel mio interlocutore, che mi rimanda, di rimbalzo, una risposta, di qualunque tipo essa sia, facendomi capire come mi percepisce e come io posso essere ai suoi occhi. Anche Goethe aveva parlato di qualcosa di simile. Ne “La metamorfosi delle piante”, aveva suggerito che la forma delle foglie fosse dovuta non solamente ad un progetto interno ma al vuoto che si trova loro intorno, spiegando in questo modo la differenza fra foglie nate da un'archetipica pianta madre iniziale. Ecco quindi che nel momento in cui non ricevo nessun tipo di risposta, e specialmente se questo avviene in presenza del mio interlocutore, quando cioè questi non mi degna di uno sguardo, è come se davanti a me non ci fosse nessuno che prende in considerazione il mio messaggio. Nessuna onda sonora torna indietro a definire i miei contorni, i contorni del mio essere. Ergo: io non posso avere un'idea della mia forma agli occhi dell'altro. La disconferma è così terribile perché colpisce a livello ontologico e il messaggio che io ricevo di fronte al fallimento del recapito della mia missiva non è “destinatario non trovato” bensì “mittente inesistente”.

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Eco, però, può essere in qualche modo rivalutata se viene considerata come “testimone”. Però bisogna chiedere l'aiuto di due altre importanti entità: Mnemosine ed Estia.

Eco è ciò che resta del corpo di una fanciulla che un tempo esisteva. È memoria, quindi. Proprio perché se io sento una voce significa che c'è una presenza, anche se la voce è flebilissima.

Il confine tra assenza ed essenza è quanto di più sottile ed ingannevole possa essere. L'assenza, la mancanza di qualcosa/qualcuno, si trasforma rapidamente in essenza, ossia ciò che non si distrugge e rimane immutato nel tempo e nello spazio, la parte eterna seppur più sottile, la parte più potente benché concentrata. Penso agli oli essenziali: così concentrati, così volatili, eppure così potenti. Ebbene paradossalmente, Eco è assenza di sé a testimonianza dell'essenza dell'altro.

La diade Eco-Narciso rimanda anche alla diade Hermes-Estia, dove Estia è la dea senza parvenze, senza “persona”, senza aspetto eppure essenziale, centro e radice, tanto concentrata in se stessa da non avere nemmeno bisogno di mostrarsi ed esistente, forse, solo per bruciare dello stesso fuoco che tiene acceso, il fuoco del dio. Mentre Hermes, dio dell'inganno, della parola e del commercio, esiste solo in funzione delle sue relazioni con gli altri. Ebbene Hermes è sfuggente e inafferrabile, molto più vicino a Eco, tanto sfuggente da risultare quasi immateriale, mentre Estia è fissa e stabile, testimone dell'attesa dell'altro. Le vestali attendevano la possessione del dio. “Perchè hai scelto di amare un dio? Ti accorgerai che è un amore senza scambio”, dice Achille a Briseide in “Troy”. In mezzo, il fuoco. A fare da centro catalizzatore, il luogo dell'eterno ritorno per Hermes. In quanto ogni Hermes sempre tende al fuoco di Estia.

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